mercoledì 8 gennaio 2014

Buonanotte ai suonatori

Caro il mio destinatario,
meno male che ci sei.. o che non ci sei. Insomma, umpf. Ti odio di nuovo, arrivati a questo punto (o iniziando da questo punto) comincio sempre ad odiarti. Mi sento come quel tipo col teschio in mano, come si chiama, dai aiutami, quello del dubbio amletico.. boh, vabbè. Quello la notte mica dormiva, faceva avanti e dietro nella sua stanzetta, su e giù per le scale del castello, tant’è che la mamma non gli diede più la paghetta per ricomprare i tappeti che aveva consumato per il tanto camminare. Essere o non essere.. o sei bianco o sei nero. Eppure penso che in medio stat virtus quindi, che tu sia o non sia, esisti, concretamente o idealmente, ed io ti conosco indipendentemente dall’esperienza e dall’impressione sensibile. Che fa Kant, ah?
Eh, però se ogni volta devo giustificare il tuo essere o il tuo non essere, non la spicciamo più. Si, lo so che non sei tu a chiedermelo, ma sembra strano ogni volta rivolgermi a te come ad una persona reale. Mi prometti che, se un giorno decidessi di farti carne e ossa, verrai subito a trovarmi? Pure per dirmi “nah, sono io, basta che la finisci”, e giuro che dopo il “Caro” metto il tuo nome e me la finisco.
Sai cosa, o meglio, chi potresti essere? Un musicista, un suonatore! Sai quanto sono generosi quelli che lavorano la musica? Ti danno tanto e non ti chiedono niente. Alcuni di loro diventano il tuo psicologo personale, ti leggono dentro e ti tirano fuori cose che nemmeno tu sapevi ci fossero. Sai quanta magia hanno nelle loro mani? E quando dalle mani passano alla voce, senti un calore che ti avvolge e ti senti piccola, come se avessero scoperto il tuo segreto e lo stessero urlando al mondo. E poi hanno quella voglia di fare, quella voglia di inventare, che se ti passasse accanto una nuvola di pioggia nemmeno te ne accorgeresti. Sono i medici che curano qualsiasi tristezza, qualsiasi magone, e la loro riconoscenza è la nostra voce che cammina con la loro. Belli.
In un’altra vita, probabilmente, imparerò a suonare uno strumento, in questa già è tanto che azzecco il bottone giusto del citofono. Oppure diventerò una filosofa. Tu ridi, io parlo seriamente! Sai come funzionava ai tempi dei Greci o dei Romani? Si, lo so che non c’eri e nemmeno io, ma te lo racconto comunque.
In quel tempo, a Roma vigeva un governo fatto di persone potenti e di un certo ceto sociale, un po’ come adesso, e proprio come ora i suddetti non facevano una beata mi..seria tutto il giorno.
“Mamma mia, questi ci giudicano”, diceva uno, “dobbiamo inventare un modo per oziare e non dare nell’occhio”, e da qui la parola otium. Cosa facevano quelli che otiavano? Andavano a teatro, facevano sport, e il tutto per pura ricerca intellettuale.
“Padrone, posso oziare anche io? Voglio trovare me stesso”
“Puah! Schiavo, tu lavora! Non credere che sia cosa facile, non tutti possono sopportare le fatiche della mente!”, perché ovviamente oziare era una professione riservata a un’élite di prescelti. Meno male che il buon vecchio Catone fu restìo a questa tendenza, dicendo che i giovani erano viziati. Di qui il detto “l’ozio è il padre dei vizi”. E non credere che Orazio fu tanto illuminato, che il Carpe Diem gli venne in un momento in cui sopraggiunse la stanchezza e “colse l’attimo” per farsi un pisolino. Eppure gli oziatori a livello agonistico erano tutti adorati, tutti visti di buon occhio. Erano i saggi, quelli a cui rivolgersi in caso di malessere, come i musicisti! Stai male e ricorri alla saggezza della musica. Ecco, proporrei un otium musicale, così tutti son contenti e Nessuno può dire niente, che tanto pure lui si appisola mentre se ne va in giro per mare con i compagni mentre la Signora Nessuno è a casa a filare e sfilare le mutande. Quelle del marito, d’intende. 

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