giovedì 9 gennaio 2014

Amor ch'a nulla amato si fotta

Caro, caro destinatario,
tu sei stato mai uno di quelli che ha giurato amore eterno all’amata? Io si. Nel senso che mi è stato giurato, ovviamente. No, ma pensavo ad altro. Pensavo all’amor pigro, quello che accomuna la mia bella generazione, il male del secolo. È vero, come dice mia nonna, che non ci sono più valori, è vero! Prima alle donne si faceva la corte, si facevano i chilometri per vederle cinque secondi al giorno, ora esiste il morbo del telecomando lontano dal divano: piuttosto che alzarti a prenderlo, aspetti che venga lui da te. Ma sveglia!
Per una esegesi completa, ti racconterò la storia di un mio lontano parente: la mia pro pro pro pro zia era figlia di un fruttivendolo e di una acquaiola. Una ragazza tranquilla, aggarbata, dai modi fini e sopraffini, tant’è che in paese la chiamavano “La Ninfa”. In quello stesso paese c’era anche un ragazzo dall’animo egocentrico, superbo e vanitoso, di quelli che “io sono così, io sono parente a quello, io spacco il mondo”, che un giorno s’imbatté in una zingara che girava per la cittadella chiedendo l’elemosina.
“Buon giovane, voi che dite di aver compiuto gloriose gesta, me la dareste una moneta?”
“Vecchia! Sciocco da parte tua pensare che possa provar pena, non avrai il mio denaro!” e se ne andò dritto per la sua strada. La zingara lo guardò, gli lanciò un paio di maledizioni in ostrogoto e sparì.
Quello stesso giorno, il giovane Pollo (il nostro eroe veniva chiamato così da quanti non sopportavano la sua spavalderia) venne ricoverato d’urgenza. Epilessie amorose. Il ragazzo aveva cominciato a saltellare a destra e a sinistra urlando “Ninfa, Ninfa, na guardata d'uocchie ca songo ddoje saette, sò fulmine, sò lampe, songo tuone! Io ti amo!” e nessuno lo azzeccava più. Il medico lo fece andare a casa, dicendo che nulla più poteva fare: quell’ospedale non curava i mali del cuore. (Che ti stupisci? Non hai mai sentito parlare di malasanità?)
La Ninfa, da parte sua, rabbrividiva al sol pensiero che Pollo l’amasse. “Piuttosto sposo una pianta d’alloro!”, diceva spesso. È anche vero che la mia prozia aveva anche un altro amante, un adorante, un ammiratore insomma: U’ Cipp, perché era alto (o basso) quanto un ceppo d’albero. “Non se ne parla”, rispondeva il padre all’argomento matrimonio, “io nipoti bassi non ne voglio”, così U’ Cipp sconsolato scappò con una compagnia circense a fare l’uomo albero.
Pollo pensava d’avere il campo libero così, mentre la Ninfa era alla fonte a riempire delle giare d’acqua, cominciò a correrle incontro e ad urlare “Ninfa! Amore mio, sposami! Ti renderò la mia regina!” “Più che re, ti vedo bene come giullare, buffone! Tzè!” e in men che non si dica la piazza era diventata il circuito di Monza. Più lei scappava, più lui la rincorreva, ma nessuno dei due aveva visto la zingara che, quatta quatta, si era nascosta vicino la fonte.
“Aiutatemi! Santi numi, piuttosto divento una pianta d’alloro, ma non sposerò mai questo imbecille!” e così fu. La zingara esaudì la sua richiesta e divenne pianta. Pollo decise di rimanerle accanto, giorno e notte, e se la sposò: lui, quel giorno, aveva proprio una bella coroncina.

Visto? Questo è penarsi per trovare e avere l’amore. Questa è la vera gioia: preferire una donna alloro piuttosto che una telecomando. Almeno, la prima insaporisce la vita.

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