giovedì 18 aprile 2019

Ogni volta, mai con te

Io non ti condanno nulla. Non posso, non credo di averne il diritto.
Certo, non pretenderai che non sia arrabbiata, questo non te lo concedo. Sono uscita di casa prima di te questa mattina perchè volevo fermarmi al cimitero prima di andare a lavorare. Sapevi che il fatto che non ci stessi andando da quella volta mi faceva stare male, sentivo uno strano peso sulla coscienza e un richiamo forte che non mi faceva dormire bene.
Ti ho chiamato, dopo, perchè avevo un groppo in gola e una sensazione di cose che stavano andando a rotoli ma non mi hai risposto e non mi hai richiamata. Se penso che quando ancora non eravamo sicuri l'uno dell'altra, quando tutto aveva il profumo e il fascino delle prime volte abbiamo rinunciato al sonno pur di parlare al telefono, a 800km l'uno dall'altra, senza esserci mai visti ma sapendo di star aspettandoci. Quelle sere hanno scavato dentro di me la convinzione che mai nessuno avrebbe rimesso quei km tra noi ma non avevo preventivato che proprio noi ci saremmo fatti del male.
Non mi hai chiamata neanche alla pausa delle dodici e trenta; ho pensato avessi lasciato il telefono a casa, ti capita di riaddormentarti se io non ci sono e uscire di corsa, sbadatamente, la ventiquattrore in una mano e il pancake nell'altra, i capelli scompigliati e le imprecazioni sputacchiate sull'uscio di casa.
Quando sono rientrata, ho percepito subito l'assenza permanente, quella che mi ha fatto pensare che probabilmente non saresti ritornato più e chissà se non ti avrei rivisto invece.

Ho scoperto ogni cosa, comunque. Qualche mese fa, la più banale delle distrazioni: un bottoncino nella tasca dei tuoi pantaloni, carino e in tessuto fiorato. Ho ricontrollato con calma le tue camicie solo per eccesso di zelo. Il tuo massimo è stata una polo blu elettrico con logo giallo fluo, che ti vista indosso una sola volta. Pensare solo minimamente a te che indossi una camicia stampa tropical mi fa tremendamente ridere, vorrebbe dire che in questi anni ho convissuto con la tua proiezione più seria e mi farebbe mettere in discussione ogni cosa. A questo non sono pronta.
Quando ho scoperto il bottone, sapevo che sarebbe stata questione di tempo. Non ho fatto niente, non ne avevo voglia. Sono andata in bagno e mi sono guardata allo specchio dopo essermi lavata il viso e immaginavo lei mentre osservavo la riga del mascara scorrere e coprire i nei sul collo, scoprire le mie mancanze.
Non credo che lei sia molto giovane, probabilmente siamo coetanee, abbiamo fatto la fila insieme dal panettiere, probabilmente usiamo lo stesso balsamo e entrambe odiamo quando fai tutto quel rumore mentre ti soffi il naso. Il fatto che non mi spiego è che tu dicevi che io sono una di quelle persone da cui si deve prendere tanto perchè avevo tutto quello di cui avevi bisogno e da cui non puoi che pretendere altrettanto. Quando ti senti dire certe cose, pensi: bene, io sono il baratro e oltre me c'è solo il niente. Lo sbaglio che ho fatto è stato credere che fosse così.
Ho barcollato un po'. Non mi sono vista più vecchia, con più ruga e incertezze, no affatto.
Mi sono sentita consapevole di una verità che mi risultava difficile ammettere: non ti amo più per come sei ma per quello che ricordavo tu fossi. A me quella proiezione in fondo piace ancora, se ci penso mi intenerisce, ma se provo a prenderla non c'è.
Avrei voluto che me ne parlassi, che ti ricordassi di me come la tua compagna e la tua confidente, che ascoltassi le mie urla che ti chiamavano alla ricerca smodata di aiuto. Hai preferito parlarmi nel silenzio, ma ormai non ti ascolto più.
Domani andrò all'isola ecologica e consegnerò tutte le tue cose, dopo settimane non hai fatto cenno di rivolerle e rivolermi indietro.
Chissà se esiste davvero "tornare al punto in cui eravamo". Io penso di averci messo i piedi sopra, di aver trasformato quel punto in una escrescenza disgustosa e di non ricordare più dove ci trovassimo quando eravamo felici. Ho confuso tutto. Ho staccato un bottone da una delle tue giacche e l'ho attaccato al muro. Ricomincerò sempre di là ogni volta che mi sentirò persa, ritornerò a cucire le parti di me che sento disfatte e proverò a rinascere. Ogni volta, mai con te.

giovedì 14 marzo 2019

Penelope filava e friggeva

Penelope (gr. Πηνελόπεια, -ας, poi Πηνελόπη, -ης; lat. Pēnĕlŏpe, -es) era una donna mitologica di Bari, figlia di Nicola e Filumena, moglie di Pinuccio (a Cellamare aveva conosciuto), madre di Tizio, Caio e Sempronio, nonchè cugina lontana di Elena che aveva un bel vigneto dove produceva il famosissimo Nero di Troya. 


Penelope era bell'assai, tutti a Bari la conoscevano per doti e virtù ma anche per quella voce starnazzante che ricordava il verso dell'anatra; solo questo aveva che non andava, per il resto era diligente e affidabile.
Pinuccio faceva il carpentiere navale ed era un po' sgarzillo, nonostante non fosse tutto 'sto forte mobile: tante volte Filumena aveva provato a dissuadere la figlia dalla volontà di congiungersi per la vita a quell'uomo che non sapeva nè di me nè di te ma Penelope era cotta d'amore. I genitori fecero voti, sacrifici e preghiere a San Nicola ma quello manco per l'anticamera del cervello. E vabbè.
L'anno in cui Pinuccio dovette partire era particolarmente torrido e afoso. Mi sa che era fine maggio o inizio giugno.. giù di lì. A volte gli capitava di dover partire per mare per delle manutenzioni sul posto, cose che solo lui poteva fare, non ne stavano più, però era sempre stata poca cosa! Giusto un mese o due al massimo, il tempo che Penelope prendesse un po' di rigetto (Pinuccio era un disordinato di prim'ordine, sempre i calzini in qualche angolo della casa. E la tavoletta del water non l'alzava mai...), così fu anche contenta di quei giorni per sè (fatto questo pensiero, andò a chiedere scusa alla Madonna).
In mare, ahimè si sa, le comunicazioni sono meno che zero, così cominciarono a passare le settimane.. i mesi.. le stagioni.. gli anni, e quattro ne passarono fino a quando la donna non sentì bussare alla sua porta.
- Peneeeee! Peneeeee! Apri a papà!
- Ma papà hai le chiavi
- Si ma questa è una cosa importante e mi devi aprire tu.
E vabbè..
Fatte le dovute cerimonie (- Papà lo vuoi un caffè? - E un dolcetto non lo tieni? - E no papà, che mica sapevo che avrei avuto gli ospiti... - Ma tua madre la crianza non te l'ha insegnata?... e così discorrendo), Penelope chiese al padre il perchè di quella visita così informale.
- Senti Penè, io mi sento pure un po' obbligato, mortificato, addolorato.. e non mi interrompere e non fare le facce!
- Papà ma non sto dic..
- Ecco! Vedi come sei? Prevenuta, sempre! Fammi finire che tengo tua madre da andare a prendere alla posta. Comunque, dicevo.. io non ti posso vedere più così, sempre arravogliata in mille cose da sbrigare, i bambini piccoli da crescere, la casa da sistemare..
- E sì papà tranquillo, non ne voglio signora delle pulizie e una badante, fin dove arrivo pianto il zippo.
- None Penè, non mi sono spiegata. Visto che tuo marito è assente ingiustificato, io lo considero morto, accoppato, ricongiunto a Cristo, e quindi tu ti devi trovare a uno nuovo. A tal proposito..
- OEEEEEEEEEEEEE! A casa mia queste cose non esistono! Finchè non mi portano un pezzo di mio marito a cui fare un funerale, io non faccio niente. Che devono dire le persone???
- E non ti preoccupare che tua madre ai rosari già un po' lo sta anticipando..
- No papà, scordatelo, fai finta che hai l'Alzheimer e non mi hai detto niente e sei venuta a fare una visita a tua figlia.
- Penè, a me il giudizio mi accompagna e se io ti ho detto così, così si deve fare. Io ti ho dato e io ti do, com'è che si dice.. Cià!

BUM. Un fulmine a ciel sereno. E mo chi glielo doveva dire a quello che Penelope già se lo teneva a uno? E non l'avrebbe mai accettato, perchè era il figlio di quello che aveva la terra accanto alla sua e con cui aveva litigato diversi anni addietro per alcuni centesimi che non si ritrovavano al catasto. Nino si chiamava ed era l'uomo della sua vita.. meno male che Pinuccio aveva accettato il lavoro! E via la preghiera alla Madonna. 
Comunque doveva trovare a tutti i costi uno stratagemma, un modo per dissuadere suo padre a non addivenire a nuove nozze e continuare a vivere quella bellissima storia d'amore. 
Una mattina che era scesa al mercato, le venne l'idea. Corse al padre per dirlo come se fosse il Dio Ermes.
- Papà! Papà! Tieni ragione. Presentami a cui vuoi però io ti devo dare le mie condizioni: sceglierò il prossimo genero tuo quando avrò finito di trombare i panzerotti necessari per la festa di fidanzamento.
- Eh a papà, che problemi stanno! Ti aiuta mam..
- Non se ne parla! O queste condizioni o niente! Prendere o lasciare.
- Prendo prendo! Mo che lo sentono gli amici miei, vedi tu che devono dire.. mi sento tutto prisciato!!

Penelope andò a fare una spesa da pranzo di Natale con tutto l'occorrente per i panzerotti e per il ripieno che, si sa, deve sempre strabordare. Aveva fatto un conto di più o meno trecento persone invitate ufficialmente, più quelle a cui lo dici per conoscenza e che vengono a vedere la zita, più altre amiche di mammà.. insomma, in questo caso non era un peccato abbondare! Metti tre panzerotti a testa.. Doveva trombare un bel po'.
La genialata che le venne in mente, però, non era quella: ella, infatti, avrebbe trombato tre panzerotti al giorno e ne avrebbe mangiati due (uno lei e uno il suo amore); il terzo via a congelare, con la scusante che il panzerotto ha bisogno di tempo, cure e attenzioni per essere perfetto, rimandando così il tempo della scelta e avrebbe anche funzionato!, non foss'altro per quella megera di Rosetta, la tipa che abitava dirimpetto che ogni sera captava odore di fritto e di inganno. Curiosa e maligna, cominciò a spiarla e a seguirla, fino a scoprire il trucco per rivelarlo a Nicola, il suo amore d'infanzia. 
Nicola molto si rabbuiò nei confronti della figlia, tanto da essere combattuto tra i desiderio di disconoscerla e quello di assaggiare i panzerotti, così per punirla decise di darla al più brutto ma onesto dei suo amici e farla sposare l'indomani. 
Il giorno scelto era un lunedì, tempo bellissimo, cielo terso.. proprio come il giorno in cui partì Pinuccio. Proprio a lui si sorprese a pensare Penelope, abbandonata da quel nuovo amore che l'aveva scoperta piena di vita. Quel giorno ci fu tristezza ma anche tanta sorpresa per via di una nave che attraccò al porto e che restituiva alla terra nientepopodimeno che Pinuccio!.. con prole.
Il ragazzo, infatti, era volutamente rimasto sulla nave dopo essersi invaghito di Prugna, una piratessa che aveva assaltato la sua imbarcazione e l'aveva portato con sè in giro per gli Oceani. La cosa durò poco però, perchè il suo scopo era quello di restare incinta (essendo quella una nave di sole piratesse) e abbandonarlo su una zattera per mare ove fu soccorso da una sirena, che gli diede tre figli e che morì di salmonella.
Penelope lo perdonò e accolse con sè quei figli mostrando a suo marito il suo ventre gravido di storia. 

Morale: nessuna, ma quando ci sono di mezzo i panzerotti state pur certi che non vi è discordia nel cuore di chi frigge.

martedì 14 agosto 2018

Son tutte belle le case degli altri - storia di come Cenerentola imparò a fare le polpette

Si sa, nascere donne prima e figlie poi è privilegio e una tortura concesse a pochi.
Com'è da pochi svegliarsi all'alba dei 25 anni, precisamente alle 07.07 a.m., con la mamma che urla nelle orecchie rispettivamente "AMORE SVEGLIA HAI 25 ANNI AUGURI ANCORA NON SAI CUCINARE VEDI CHE ALLA TUA ETÀ ERO GIÀ SPOSATA E AVEVO TE TU COSA FAI DOVE VAI CON CHI VAI HAI MESSO LA MAGLIA INTERNA CERTO CHE VOI GIOVANI DI OGGI SIETE PROPRIO PIGRI CHE VUOI MANGIARE OGGI" e via di respiro dopo i 100 secondi apnea.
Ciò detto, il mio risveglio fu così traumatico che per tutto il giorno ebbi paura di trovarmi all'angolo di ogni via mia nonna o mia madre con il mestolo in mano e la voglia nel cuore di insegnarmi a cucinare - cosa che io UMILMENTE ammetto di non aver voglia di imparare mai nella vita.
Insomma: io ero sola in mezzo a tanta gente donna che invece sapeva fare dolci, salati, amari, acidi e trigliceridi, tutto con una mano. Le soluzioni erano due:
A - Decidevo di crescere in mezzo ad una colonia di pinguini, lì dove nessuno ti giudica se l'estate non sei abbronzata;
B - non ce l'avevo, il cervello era troppo in pappa per pensare a troppe cose.

In questo stato di inquietudine in cui solo tre ore di beato sonno avrebbero potuto portarmi alla catarsi mi venne in mente una mia ex compagna di liceo, sfigata al tempo e fortunata poi, che proprio con un mestolo era riuscita a cavarsela.

La mia compagna, non proprio migliore amica, si chiamava Claudia ma noi la chiamavamo Cenerentola per via della sua ossessione per i pavimenti (durante le interrogazioni strisciava via in un modo che ancora ci è ignaro lasciando i mattoni puliti e limpidi che neanche la migliore ditta di pulizie).
Cenerentola era più grande di me perchè bocciata circa quattro volte e aspettava ormai la maggiore età per scappare via - per dove chissà. Ribelle dentro e caruccia fuori, era una trascinatrice seriale alle migliori sagre della regione in cui ci scarrozzava rimediando sempre un passaggio, mentre noi mentivamo ai nostri genitori organizzando fantomatici e impossibili pigiama party in case sull'albero dalla dubbia sicurtà.
Fu così che una sera ci ritrovammo in una provincia così piccola che la stessa parola provincia faticava a starci e l'italiano pure, perchè se non sapevi parlare il dialetto non eri nessuno. Non.
Ammaliati da giostre colorate e dolcissimo zucchero filato, avevamo perso di vista Cenerella che invece faceva gli occhi dolci al ragazzotto che aveva una di quelle bancarelle con il fucile in cui devi sparare a mille wafer per avere una briciola. A nulla valsero i nostri richiami, lei era già in mezzo alle colombe che preparavano il nido d'amore.
La mamma del ragazzotto le si avvicinò, squadrandola ben benino, e con occhio corvo le disse: "..wagliona.. essaifar e purpette? Chill e mammà, origginal!"
Cenerella la guardò. Aveva capito tutto, non sarebbe stato facile catturare il cuore di Gennarino, pieno di amore e sugo.
"..n-n-no, m-m-a imparo in fretta.. GIURO MAMMA!"
La donna le faceva così paura da spingerla a chiamarla mamma, probabilmente le erano sopraggiunte alcune immagini di quest'ultima mentre la rincorreva con lo zoccolo di legno in mano.
La donna andò nel retro bottega, prese un mestolone con segnata l'impugnatura di una mano e le disse: "Solo se la tua mano accoglierà perfettamente il manico di questo mestolo, sarai degna di Gennarino mio!".

La festa di fermò, la giostra si fermò, la macchina dello zucchero filato si fermò perchè l'amica nostra Graziella aveva fatto cadere un babà e il meccanismo si era bloccato. Anche le colombe smisero un secondo di crescere il nido, aspettando che la nostra Arturina estraesse il mestolo dal pentolone.

Come andò dopo è intuibile dal titolo perchè, anche se è una storia vera, Cenerentola riuscì nell'impresa e i due vissero felici e contenti con tre figli e una batteria di pentole antiaderente che neanche Giorgio Mastrota in cinquant'anni di televendite. Lei ora credo sia felice. Si dice che nelle notti di luna piena si senta l'odore delle polpette aleggiare nei paraggi di casa sua...

Io invece ancora non ce la faccio, non fa per me. Se mi strozzo con la tosse aspetto che mia madre arrivi in mio soccorso con il cucchiaio e lo sciroppo, perchè è bello così. E' bello che ogni cosa abbia il suo tempo e che arrivi quando si è maturi. In questo senso forse amerò sempre le polpette di mia madre, perchè loro hanno un segreto: l'amore dell'olio di frittura, perchè se non fa ingrassare che amore è?

venerdì 10 agosto 2018

Amal, storie di padri e di figli

"Stavo perdendo mio padre. Ripetei queste parole mille volte nella mia testa mentre disperatamente cercavo di capire verso che parte andare, ovunque era nord ma nessuna era la direzione giusta.
Non c'era nessuno. Impossibile, mi dicevo. Dove sono tutti? Dove sono scappati, perchè io non riesco a capire, perchè quest'ansia nel petto che mi opprime e non mi fa ragionare nel modo giusto?
Calmati, mi dicevo. Devi trovare tuo padre. Solo in quel momento mi resi conto che come io stavo perdendo mio padre, mio padre stava perdendo un figlio e questo sarebbe successo fino a quando non avessi trovato il modo per scappare di là e, nella concentrazione del silenzio, ritrovassi la sua voce.
Papà vieni a prendermi. Papà, sei vivo? Non mi importa di altro se non di quel filo che ti tiene attaccato a questa vita. Papà, hai trovato il modo per tornare dalla mamma? Non mi importa di altro...

Il sole era alto in cielo, che ore erano? Cominciavo ad avere freddo, nonostante tutto, questo continuo tenermi a galla nell'agitazione per quello che sarebbe potuto arrivare - da sotto, dall'alto, tutto era paura - mi aveva stremato. Mi sentivo forte e debole allo stesso tempo, non potevo arrendermi, dovevo trovare mio padre.
Un'anziana del villaggio una volta mi disse che la paura rende bui gli oggetti vicini, non ce li fa vedere nitidamente. Mi ricordai di questa cosa mentre mi lasciavo trasportare dalle onde come se fossero le braccia di Mama e il rumore dell'acqua che si infrangeva era una dolce nenia.. il mio cuore diventava più tranquillo, più sereno. Il ricordo di casa è sempre un porto sicuro.

Com'è bello il cielo, così chiaro, limpido, sembra avere la pelle di seta.
Una sera non riuscivo a dormire, Mama mi aveva sgridato perchè ero stato tutto il giorno fuori a giocare con gli animali nel fango ed ero tornato a casa sporco come un cencio. Mama mi disse di lavarmi fuori, nella vasca dove si abbeverano i maiali perchè lei non aveva intenzione di farmi mettere un piede in casa in quel modo. Piansi fino allo sfinimento e fuori diventava buio, avevo fame e Mama non mi dava ascolto.
Mio padre, stanco di sentirmi urlare, uscì di nascosto a mia madre e mi lavò alla bell'e meglio, mi prese in braccio e mi mise a letto.
"Papà, sono tutte cattive le mamme del mondo?", gli chiesi.
"Tua madre ti ama tanto. A volte non lo vedi ma l'amore ha diverse forme, anche quelle che ti sembrano lontanissimo dall'esserlo. Tua madre ti ha regalato una cosa che crescerà con te, il consapevole senso di responsabilità che domani non ti farà ripetere quello che hai fatto oggi. Vero?"
Che occhi profondi ha mio padre, profondi e dolci. Le mani chiare e scure, grandi e affusolate, ricche di segreti e piene di lavoro.
"Papà, com'è fatto il mondo?"
"Il mondo.. il mondo è una palla gigantesca che gira come se qualcuno le desse dei colpetti."
"No papà, come sono le persone del mondo? Io ho paura"
"Perchè hai paura delle cose che non conosci? Apri gli occhi nel buio e se c'è qualcosa che ti spaventa allora reagisci. Ci saranno occasioni in cui le parole faranno più male di uno schiaffo. Devi avere sempre gli occhi aperti e la forza di guidare la tua barca anche nella tempesta".
Mio padre non mi aveva mai parlato così e avrei voluto non smettesse. I miei occhi parlavano per le parole che non avevo.

"Una volta mio padre mi raccontò la storia di un vecchio uomo che a sua volta era padre e un giovane figlio, molto intelligente come te ma con una differenza: era molto ingenuo e non ragionava mai con la sua testa, ogni volta che qualcuno esprimeva un parere, una critica o un pensiero su di una determinata cosa, egli se ne appropriava come fosse suo. Una volta il giovane figlio chiese all'anziano padre: "com'è il mondo fuori?" ed egli cercò il modo di dimostrarglielo per far sì che il ragazzo capisse e ci arrivasse con la sua testa.
"Sella l'asino" gli disse, "dobbiamo andare in un posto".
I due si misero in cammino, uno accanto all'altro, al passo dell'asino, privandosi della possibilità di un passaggio. Arrivati al primo villaggio, li videro due uomini seduti all'ombra di una tettoia. "Ma guarda quei due, hanno un asino che possa portare il vecchio e non ne approfittano!".
Il giovane, intimorito e vergognandosi di non averci pensato, aiutò il padre a cavalcare l'asino.
Arrivarono al secondo villaggio e ancora furono oggetto delle parole degli abitanti del posto: "ma guarda quel vecchio, non si rende conto di aver ormai passato in agio tutta la vita e che è ora che sia il ragazzo a riposare sull'asino?".
Il ragazzo guardò il padre e prese il suo posto.
Al terzo villaggio, un gruppo di donne che lavavano i panni presso la fontana dissero loro che non erano furbi, se non cavalcavano entrambi un asino così possente per ritemprarsi un po'. Il giovane aiutò silenziosamente il padre a salire e proseguirono.
Passarono per alcune campagne, dove un gruppo di contadine li additarono accusandoli di poca sensibilità e mancanza di fibra morale, per star appesantendo in quel modo un povero animale come l'asino.
Il ragazzo a quel punto guardò il padre e scoppiò a ridere. Il vecchio padre lo prese tra le braccia e gli sussurrò "chi cerca di accontentare tutti scontenterà il mondo intero, perché non esistono e non sono mai esistite due persone che la pensano allo stesso modo. Così è fatto il mondo!".

Ho recuperato così mio padre. Ho aperto gli occhi e mi sentivo leggero, sentivo che mi tendeva la mano e mi gridava "Amal! Amal!" mentre l'acqua mi trascinava con sè nella dolce danza delle onde."

venerdì 13 maggio 2016

Un romantico a Milano - Cupido

Quando nacque Cupido io non c'ero. Forse c'erano i Baustelle, perchè poco dopo uscì il loro "Un romantico a Milano" e sono sicura si riferissero a lui perchè non è facile identificare un romantico in una grande e caotica città come quella di Milano. Forse. 
Cupido è figlio del caos, lo sapevate? (eccert): figlio della guerra e della bellezza, da qui "l'amore non è bello se non è litigarello". Ma l'amore non è bello neanche se non c'è, caro mio.
Anche Cupido soffrì le pene d'amore, perchè se è vero che lo scarparo va con le scarpe rotte, anche l'arco di Cupido doveva avere qualche difetto. Come per Proserpina, anche nella storia di Eros Cupido troviamo la suocera furibonda: 
- "specchio, specchio delle mie brame, chi è la più bella dell'Olimpo?"
- "tua nuora, cara Venere". 
Una storia d'amore nata e morta nello stesso momento.
Venere volle farsi forza del cuoredimamma, chiedendo al figlio di sbarazzarsi della povera ed innocente Psiche ma egli, stufo dei continui "fai questo 'ammamma, fai quello 'ammammatua" (aveva superato i trenta, ci sta), s'innamorò della fanciulla e ZAN ZAN la sposò, nonostante fosse ella una comune mortale (una specie di Principe William e Kate).  Psiche non avrebbe mai dovuto guardare suo marito, il dio avrebbe potuto sciuparsi, ma un giorno, mentre Eros mangiava la zuppa, egli si macchiò il pannolino (quello famoso del biondino) e Psiche non potè fare a meno di guardarlo per sgridarlo in quanto aveva appena finito di stirarlo. Cupido, a questo punto, dovette punirla sparendo dalla sua vita insieme al giardino e alla casa: io, al posto di Psiche, sarei stata contenta se almeno la casa me l'avesse lasciata.. vabbè.
Psiche corse dalla suocera: "Mammàààà, mammàààà! Aiutm tu!" e si disperava, e piangeva, e quando cominciò a sbavare sull'orlo del vestito D&G della dea, ella s'impietosì e le diede alcune prove da affrontare per meritare il ritorno del marito. Clemente, la femmina.

Psiche, mossa dall'amore tremendo che aveva nei confronti di quel mammone di Cupido, superò brillantemente le prove ma all'ultima.. Venere, infatti, le diede un vaso in cui avrebbe dovuto raccogliere un po' della bellezza della famosa Proserpina - di cui vi parlai precedentemente -  manco fosse la parmigiana di melanzane da portare alla vicina, ordinandole di non aprirlo assolutamente. Ma, si sa, la curiosità è donna e la disgraziata non rispettò i patti: aprendolo, cadde in un sonno profondo.

Cupido, che nel frattempo se ne andava in giro per il mondo a scoccare frecce a caso facendo innamorare povere disgraziate di persone che neanche le cagavano e "beccando" un po' qua e un po' là, si ricordò di avere una moglie e andò a cercarla (più che altro perchè si era stancato di mangiare tutti i giorni la pasta con il burro, non sapeva fare altro). Quando la trovò, la ragazza russava terribilmente. Per porre fine a quella cacofonia e anche perchè un po' l'amava, egli rimise il maleficio nel vaso e Psiche venne trasformata in una dea, a dispetto della suocera. Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso, da lì il detto.

Insomma, perchè vi ho raccontato questa storia? Perchè io Cupido lo porto un po' sull'.....arco. Alla fine dei conti il mito ci insegna che va pure bene lasciarsi andare all'ammore libero purchè si abbia sempre qualcuno da cui tornare.. oppure no, questo non c'entra niente. 
La vera morale della storia non esiste: nella vita vera esistono solo la grammatica, il sesso e l'amore. Forse di quest'ultimo spesso si fa a meno ma vi prego, vi scongiuro, alla grammatica non rinunciate mai: v'immaginate Psiche che fa tutto quel casino per uno che comincia la giornata con un "Se io potrei"?     

*In questo post non sono state maltrattate suocere.

giovedì 21 aprile 2016

Hänsel, Gretel e le briciole da dimenticare

Costeggiavo via del campo - non la famosissima, amata, di Faber ma la mia, quella che già da lontano mi ispira odore di casa - e guardavo il cielo. Guardavo il cielo e un paio di uccellini di razza ignota ("uccellologia" non era prevista tra le materie di studio, allo scientifico, né ho mai aspirato a diventare avicoltrice o ornitologa, ma non stiamo qui a perderci in uccellate) poggiati su un cavo dell'alta tensione.

Ricordai quella volta - era un pomeriggio e facevamo il rientro a scuola per saltare il sabato che era sempre una festa - in cui c'era lezione di scienze con la maestra Ada e stavamo studiando gli animali e le loro peculiarità e la classificazione scientifica. Uno dei miei compagni, non riesco a ricordare chi, attirò l'attenzione con una domanda che ci lasciò spiazzati (non avevamo neanche fatto la comunione, che pretendete.. al tempo si era innocenti, a quell'età): "Maestra, perchè quegli uccellini non prendono la scossa? La mamma mi dice sempre che non devo toccare i cavi altrimenti rimango fulminato (presupponiamo che sia stato un maschietto a fare la domanda o presupponiamo che non ci importi)".  
Silenzio e tanta pretesa, questo c'era nell'aria.
La maestra Ada era bravissima a disegnare, la lavagna era la sua tela e il gesso il suo pennello e cominciò a riprodurre una versione cartoonizzata di un paio di uccellini innamorati su un cavo dell'alta tensione.
"Facciamo finta (da leggere con accento romanesco, meravigliosa donna) che gli uccellini si trovino in un campo pieno di fili della luce. L'uccellino che tocca un solo cavo si gode il bellissimo pomeriggio di aprile (n.d.r.), quello che tocca due cavi contemporaneamente, invece, cade a terra stecchito.. Perchè?"
Sguardi fuori, a cercare una risposta dal cielo, "perchè l'ha detto l'uccellino, perchè sì, perchè è stato avventato!", vorremmo dire. E invece non diciamo niente e aspettiamo di ascoltare.
"Perchè la corrente passa solamente attraverso un corpo che è a contatto con due zone con diversa carica di energia. Ora riformulo la domanda: perchè l'uccellino non prende la scossa e tu si?"
"Perchè io ho i piedi a terra!"
"Esatto. Gli uccellini insegnano che non è sempre un male avere la testa tra le nuvole"

Risate di bambini ed una spiegazione che, anni dopo, avrei ricordato costeggiando la via di casa. Com'è buffa la vita.
Guardando l'orologio e ricordando che fosse ora di pranzo, ho pensato alle briciole degli uccellini e alle briciole della mia vita: ogni evento importante o meno, una briciola. Ogni persona incontrata, una briciola. Ogni sbaglio, ogni sorriso, ogni lacrima.. una briciola. Abbiamo il passato pieno di briciole, come il sentiero di Hänsel e Gretel disseminato di tante briciole (o sassi) per non perdere la strada di casa.
Le nostre briciole sono le luci del faro che splende nella nostra vita: quelle più forti sono il nostro riferimento fisso, quelle più flebili, quasi spente, sono le briciole che possiamo anche lasciarci alle spalle. Le tasche piene di sassi - alla Jovanotti - alla lunga pesano, cominciano a far male, dunque siamo costretti a lasciare qualcosa a terra che ci alleggerisca l'anima ma che riempiranno quella di qualcun altro che, camminando e sentendosi smarrito, troverà in quello una nuova spinta per andare avanti.
Siamo il risultato delle briciole che decidiamo di tenere con noi e dei sassi che pesano sul nostro cuore, nient'altro. Allora pensavo anche che per volare in alto e non prendere la scossa, è necessario il cuor leggero, quello che non ha paura di rinnovarsi e di scoprirsi.
Come un uccellino incauto, come Hansel che si fa furbo portando con sè il necessario a non perdere la strada di casa, così dovrebbe essere la nostra esistenza: momenti di lunghe folate di vento, camminando su un filo sospeso, con la paura di perdere l'equilibrio ma senza cadere mai.          

lunedì 11 aprile 2016

Proserpina e l'amore con contratto a progetto

Quando ero piccola (e, per certi versi, tuttora), mia madre mi regalava storie. Me le raccontava, me le leggeva, le inventava, forse perchè sentiva in grembo (altrimenti sarebbe stata una madre scellerata) che da grande avrei fatto lo stesso.

Più che inventarle, a me le storie piace riscriverle. Non è improbabile che sia cosa comune di quelli che amano, adorano, IMPAZZISCONO per i libri e che non di rado avrebbero voluto che il finale andasse verso una determinata direzione piuttosto che in un'altra o che il matrimonio di quella che, nei libri precedenti, aveva casualmente incontrato l'uomo della sua vita avanti al banco dei salumi e che questo le avesse chiesto subito di sposarla mettendo di nascosto un anello nel cartoccio delle mozzarelle perchè all'amore a prima vista non si dice mai di no, andasse miseramente, tragicamente FELICEMENTE IN FUMO.
Mia madre mi raccontava le storie della mitologia greca: una sera la tela di Penelope, l'altra la storia di Narciso innamorato di Narciso e via dicendo, ma quella che amo maggiormente è il mito di Persefone.

Persy, o Prosèrpina o Proserpìna, che chiameremo semplicemente Pina per non lasciare spazio ai dubbi e alle ingiurie dell'Accademia della Crusca, era figlia d'arte (papà Zeus non sbaglia un colpo) e di terra da parte di madre (Demetra). C'è da dire che Pina e Demetra sono un po' la versione femminile di Dio e Gesù, in quanto l'una è l'incarnazione dell'altra: le religioni sono sempre così poco fantasiose..
Insomma, perchè si parla tanto di MITO DI PROSERPINA? Cos'ha fatto di tanto eclatante questa dea della terra? Bene, Pina fu protagonista del primo caso registrato nella storia di matrimonio combinato. Ma andiamo per ordine.
Pina e Demetra decidono di uscire a fare una scampagnata approfittando di una bellissima giornata di primavera. La ragazza si spinge troppo oltre il limite imposto dalla madre e si perde, uscendo di scena in un modo molto più che teatrale: la terra si spacca in due lasciando uscire quattro Thestral spaventosi che rapiscono la giovane. Ovviamente, come nelle migliori sceneggiature siciliane, nessuno ha visto e/o sentito niente.
Che disperazione colpisce il cuore di Demetra! La donna comincia a cercarla in lungo e in largo finchè la vicina di casa, la dea della notte Ecate, le suggerisce di chiedere a Sole, "che quello, da lassù, tutto vede..". Via, verso l'infinito!
Quel lecchino del Sole le risponde semplicemente che "tra moglie e marito non si mette il dito" e Demetra capisce al volo che c'è lo zampino di quel fetente ingravidadonne di Zeus.
Demi è sconvolta, manda a quel paese Zeus e i parenti tutti, abbandona l'Olimpo e assume le sembianze di una vecchia, vagando per terra e per mare e arrivando in Grecia.
La furba e vendicativa madre decide di rendere infruttuose le terre, provocando morti e carestie e spingendo Zeus a scendere nuovamente a patti con il fratello e genero Ade, ritirando il contratto a tempo indeterminato e scambiandolo con uno a progetto: avrebbe lasciato che sua moglie rivedesse la luce del sole per 2/3 dell'anno a patto che questa mangiasse alcuni chicchi di melograno, simbolo del ritorno a casa. Cornuta e precaria.
Ovviamente Demetra ne gioì e tutto intorno a lei crebbero fiori e magnifici frutti e tutti vissero felici e contenti.

MORALE DELLA STORIA: chi ama vi lascia liberi. E, se così non fosse, scegliete di andare a vivere in campagna, lontani da vostra suocera e attorniati da file e file di alberi di melograno. Saranno sì entrambi una palla, ma almeno i secondi riempiono lo stomaco.