giovedì 18 aprile 2019

Ogni volta, mai con te

Io non ti condanno nulla. Non posso, non credo di averne il diritto.
Certo, non pretenderai che non sia arrabbiata, questo non te lo concedo. Sono uscita di casa prima di te questa mattina perchè volevo fermarmi al cimitero prima di andare a lavorare. Sapevi che il fatto che non ci stessi andando da quella volta mi faceva stare male, sentivo uno strano peso sulla coscienza e un richiamo forte che non mi faceva dormire bene.
Ti ho chiamato, dopo, perchè avevo un groppo in gola e una sensazione di cose che stavano andando a rotoli ma non mi hai risposto e non mi hai richiamata. Se penso che quando ancora non eravamo sicuri l'uno dell'altra, quando tutto aveva il profumo e il fascino delle prime volte abbiamo rinunciato al sonno pur di parlare al telefono, a 800km l'uno dall'altra, senza esserci mai visti ma sapendo di star aspettandoci. Quelle sere hanno scavato dentro di me la convinzione che mai nessuno avrebbe rimesso quei km tra noi ma non avevo preventivato che proprio noi ci saremmo fatti del male.
Non mi hai chiamata neanche alla pausa delle dodici e trenta; ho pensato avessi lasciato il telefono a casa, ti capita di riaddormentarti se io non ci sono e uscire di corsa, sbadatamente, la ventiquattrore in una mano e il pancake nell'altra, i capelli scompigliati e le imprecazioni sputacchiate sull'uscio di casa.
Quando sono rientrata, ho percepito subito l'assenza permanente, quella che mi ha fatto pensare che probabilmente non saresti ritornato più e chissà se non ti avrei rivisto invece.

Ho scoperto ogni cosa, comunque. Qualche mese fa, la più banale delle distrazioni: un bottoncino nella tasca dei tuoi pantaloni, carino e in tessuto fiorato. Ho ricontrollato con calma le tue camicie solo per eccesso di zelo. Il tuo massimo è stata una polo blu elettrico con logo giallo fluo, che ti vista indosso una sola volta. Pensare solo minimamente a te che indossi una camicia stampa tropical mi fa tremendamente ridere, vorrebbe dire che in questi anni ho convissuto con la tua proiezione più seria e mi farebbe mettere in discussione ogni cosa. A questo non sono pronta.
Quando ho scoperto il bottone, sapevo che sarebbe stata questione di tempo. Non ho fatto niente, non ne avevo voglia. Sono andata in bagno e mi sono guardata allo specchio dopo essermi lavata il viso e immaginavo lei mentre osservavo la riga del mascara scorrere e coprire i nei sul collo, scoprire le mie mancanze.
Non credo che lei sia molto giovane, probabilmente siamo coetanee, abbiamo fatto la fila insieme dal panettiere, probabilmente usiamo lo stesso balsamo e entrambe odiamo quando fai tutto quel rumore mentre ti soffi il naso. Il fatto che non mi spiego è che tu dicevi che io sono una di quelle persone da cui si deve prendere tanto perchè avevo tutto quello di cui avevi bisogno e da cui non puoi che pretendere altrettanto. Quando ti senti dire certe cose, pensi: bene, io sono il baratro e oltre me c'è solo il niente. Lo sbaglio che ho fatto è stato credere che fosse così.
Ho barcollato un po'. Non mi sono vista più vecchia, con più ruga e incertezze, no affatto.
Mi sono sentita consapevole di una verità che mi risultava difficile ammettere: non ti amo più per come sei ma per quello che ricordavo tu fossi. A me quella proiezione in fondo piace ancora, se ci penso mi intenerisce, ma se provo a prenderla non c'è.
Avrei voluto che me ne parlassi, che ti ricordassi di me come la tua compagna e la tua confidente, che ascoltassi le mie urla che ti chiamavano alla ricerca smodata di aiuto. Hai preferito parlarmi nel silenzio, ma ormai non ti ascolto più.
Domani andrò all'isola ecologica e consegnerò tutte le tue cose, dopo settimane non hai fatto cenno di rivolerle e rivolermi indietro.
Chissà se esiste davvero "tornare al punto in cui eravamo". Io penso di averci messo i piedi sopra, di aver trasformato quel punto in una escrescenza disgustosa e di non ricordare più dove ci trovassimo quando eravamo felici. Ho confuso tutto. Ho staccato un bottone da una delle tue giacche e l'ho attaccato al muro. Ricomincerò sempre di là ogni volta che mi sentirò persa, ritornerò a cucire le parti di me che sento disfatte e proverò a rinascere. Ogni volta, mai con te.

giovedì 14 marzo 2019

Penelope filava e friggeva

Penelope (gr. Πηνελόπεια, -ας, poi Πηνελόπη, -ης; lat. Pēnĕlŏpe, -es) era una donna mitologica di Bari, figlia di Nicola e Filumena, moglie di Pinuccio (a Cellamare aveva conosciuto), madre di Tizio, Caio e Sempronio, nonchè cugina lontana di Elena che aveva un bel vigneto dove produceva il famosissimo Nero di Troya. 


Penelope era bell'assai, tutti a Bari la conoscevano per doti e virtù ma anche per quella voce starnazzante che ricordava il verso dell'anatra; solo questo aveva che non andava, per il resto era diligente e affidabile.
Pinuccio faceva il carpentiere navale ed era un po' sgarzillo, nonostante non fosse tutto 'sto forte mobile: tante volte Filumena aveva provato a dissuadere la figlia dalla volontà di congiungersi per la vita a quell'uomo che non sapeva nè di me nè di te ma Penelope era cotta d'amore. I genitori fecero voti, sacrifici e preghiere a San Nicola ma quello manco per l'anticamera del cervello. E vabbè.
L'anno in cui Pinuccio dovette partire era particolarmente torrido e afoso. Mi sa che era fine maggio o inizio giugno.. giù di lì. A volte gli capitava di dover partire per mare per delle manutenzioni sul posto, cose che solo lui poteva fare, non ne stavano più, però era sempre stata poca cosa! Giusto un mese o due al massimo, il tempo che Penelope prendesse un po' di rigetto (Pinuccio era un disordinato di prim'ordine, sempre i calzini in qualche angolo della casa. E la tavoletta del water non l'alzava mai...), così fu anche contenta di quei giorni per sè (fatto questo pensiero, andò a chiedere scusa alla Madonna).
In mare, ahimè si sa, le comunicazioni sono meno che zero, così cominciarono a passare le settimane.. i mesi.. le stagioni.. gli anni, e quattro ne passarono fino a quando la donna non sentì bussare alla sua porta.
- Peneeeee! Peneeeee! Apri a papà!
- Ma papà hai le chiavi
- Si ma questa è una cosa importante e mi devi aprire tu.
E vabbè..
Fatte le dovute cerimonie (- Papà lo vuoi un caffè? - E un dolcetto non lo tieni? - E no papà, che mica sapevo che avrei avuto gli ospiti... - Ma tua madre la crianza non te l'ha insegnata?... e così discorrendo), Penelope chiese al padre il perchè di quella visita così informale.
- Senti Penè, io mi sento pure un po' obbligato, mortificato, addolorato.. e non mi interrompere e non fare le facce!
- Papà ma non sto dic..
- Ecco! Vedi come sei? Prevenuta, sempre! Fammi finire che tengo tua madre da andare a prendere alla posta. Comunque, dicevo.. io non ti posso vedere più così, sempre arravogliata in mille cose da sbrigare, i bambini piccoli da crescere, la casa da sistemare..
- E sì papà tranquillo, non ne voglio signora delle pulizie e una badante, fin dove arrivo pianto il zippo.
- None Penè, non mi sono spiegata. Visto che tuo marito è assente ingiustificato, io lo considero morto, accoppato, ricongiunto a Cristo, e quindi tu ti devi trovare a uno nuovo. A tal proposito..
- OEEEEEEEEEEEEE! A casa mia queste cose non esistono! Finchè non mi portano un pezzo di mio marito a cui fare un funerale, io non faccio niente. Che devono dire le persone???
- E non ti preoccupare che tua madre ai rosari già un po' lo sta anticipando..
- No papà, scordatelo, fai finta che hai l'Alzheimer e non mi hai detto niente e sei venuta a fare una visita a tua figlia.
- Penè, a me il giudizio mi accompagna e se io ti ho detto così, così si deve fare. Io ti ho dato e io ti do, com'è che si dice.. Cià!

BUM. Un fulmine a ciel sereno. E mo chi glielo doveva dire a quello che Penelope già se lo teneva a uno? E non l'avrebbe mai accettato, perchè era il figlio di quello che aveva la terra accanto alla sua e con cui aveva litigato diversi anni addietro per alcuni centesimi che non si ritrovavano al catasto. Nino si chiamava ed era l'uomo della sua vita.. meno male che Pinuccio aveva accettato il lavoro! E via la preghiera alla Madonna. 
Comunque doveva trovare a tutti i costi uno stratagemma, un modo per dissuadere suo padre a non addivenire a nuove nozze e continuare a vivere quella bellissima storia d'amore. 
Una mattina che era scesa al mercato, le venne l'idea. Corse al padre per dirlo come se fosse il Dio Ermes.
- Papà! Papà! Tieni ragione. Presentami a cui vuoi però io ti devo dare le mie condizioni: sceglierò il prossimo genero tuo quando avrò finito di trombare i panzerotti necessari per la festa di fidanzamento.
- Eh a papà, che problemi stanno! Ti aiuta mam..
- Non se ne parla! O queste condizioni o niente! Prendere o lasciare.
- Prendo prendo! Mo che lo sentono gli amici miei, vedi tu che devono dire.. mi sento tutto prisciato!!

Penelope andò a fare una spesa da pranzo di Natale con tutto l'occorrente per i panzerotti e per il ripieno che, si sa, deve sempre strabordare. Aveva fatto un conto di più o meno trecento persone invitate ufficialmente, più quelle a cui lo dici per conoscenza e che vengono a vedere la zita, più altre amiche di mammà.. insomma, in questo caso non era un peccato abbondare! Metti tre panzerotti a testa.. Doveva trombare un bel po'.
La genialata che le venne in mente, però, non era quella: ella, infatti, avrebbe trombato tre panzerotti al giorno e ne avrebbe mangiati due (uno lei e uno il suo amore); il terzo via a congelare, con la scusante che il panzerotto ha bisogno di tempo, cure e attenzioni per essere perfetto, rimandando così il tempo della scelta e avrebbe anche funzionato!, non foss'altro per quella megera di Rosetta, la tipa che abitava dirimpetto che ogni sera captava odore di fritto e di inganno. Curiosa e maligna, cominciò a spiarla e a seguirla, fino a scoprire il trucco per rivelarlo a Nicola, il suo amore d'infanzia. 
Nicola molto si rabbuiò nei confronti della figlia, tanto da essere combattuto tra i desiderio di disconoscerla e quello di assaggiare i panzerotti, così per punirla decise di darla al più brutto ma onesto dei suo amici e farla sposare l'indomani. 
Il giorno scelto era un lunedì, tempo bellissimo, cielo terso.. proprio come il giorno in cui partì Pinuccio. Proprio a lui si sorprese a pensare Penelope, abbandonata da quel nuovo amore che l'aveva scoperta piena di vita. Quel giorno ci fu tristezza ma anche tanta sorpresa per via di una nave che attraccò al porto e che restituiva alla terra nientepopodimeno che Pinuccio!.. con prole.
Il ragazzo, infatti, era volutamente rimasto sulla nave dopo essersi invaghito di Prugna, una piratessa che aveva assaltato la sua imbarcazione e l'aveva portato con sè in giro per gli Oceani. La cosa durò poco però, perchè il suo scopo era quello di restare incinta (essendo quella una nave di sole piratesse) e abbandonarlo su una zattera per mare ove fu soccorso da una sirena, che gli diede tre figli e che morì di salmonella.
Penelope lo perdonò e accolse con sè quei figli mostrando a suo marito il suo ventre gravido di storia. 

Morale: nessuna, ma quando ci sono di mezzo i panzerotti state pur certi che non vi è discordia nel cuore di chi frigge.