venerdì 14 marzo 2014

I filosofi del "mai una gioia"

Caro destinatario,

di rientro a casa, dopo una giornata di lavoro “matto e disperatissimo”, pensavo che questa vita non mi sta riservando neanche una gioia. Non azzecco la schedina, a lavoro non vinco i buoni benzina e per strada non mi imbatto neanche in una misera moneta da 1 centesimo, ragion per cui mi sono rassegnata al fatto che tutte le fortune del mondo mi evitano proprio volontariamente. Pensandoci poi meglio mi son detta che la mia non gioia è incrementata dal mio atteggiamento super negativo nei confronti degli eventi che incorrono sulla mia strada e questo è deprimente, dato che in buona sostanza la mia mancata gioia è proprio colpa mia. Vero è che spesso ci lamentiamo non pensando che c’è gente che se la passa peggio di noi. Prendi quel povero cristo di Sisifo, per esempio: un uomo la cui vita ha regalato ingegno, furbizia ed intelligenza attirando l’invidia e la collera degli dei, che in fondo sono come la gente del Paese, non puoi fare nulla che subito ti parlano dietro e ti lanciano affascini. Così il giovane si ritrova, dall’oggi al domani e senza capirne niente, a dover spingere un masso su per una montagna alta quanto l’invidia e i pregiudizi della gente ed arrivato in cima, PUFF, il masso sparisce e ricompare ai piedi della montagna. “Mai ‘na gioia!”, dice Sisifo scendendo e rassegnandosi all’idea di dover azzerare i suoi sforzi.
Un altro povero disgraziato portava il nome di Søren e lui si che era malinconico (oltre che malaticcio e irritabile): se provavi ad avvicinarti e chiedergli cosa avesse, ti rispondeva che il padre aveva maledetto dio per le sciagure che gli capitavano e ora lui era soggetto proprio alla maledizione divina. Risposte del genere non te le aspetti da un bambino ma lui era tutto particolare. E guai a toccargli la sua saponetta preferita, l’amava come se fosse la sua Regina. Che angoscia di ragazzo.
Tramite Søren ho conosciuto Marcel, un pazzo: girovagava per le ferrovie e le miniere con una lente d’ingrandimento e un metal detector perché doveva ritrovare il tempo perduto e non tornava a casa finché non portava a termine il suo compito; una volta arrivò fino in Messico, facendo tardi per la cena. In primavera, poi, lo riconoscevi anche a chilometri di distanza perché cominciava a tossire per via dell’allergia al polline ma era così testardo che neanche questo lo fermava. Dimmi tu se questa è una non gioia.
E poi, come non menzionare Franz: il povero giovane ha sempre sofferto la mancanza di un padre presente e amorevole e per questo non è mai riuscito ad integrarsi completamente con i compagni di giochi. Aveva un fisico troppo minuto perfino per avere un cane e portarlo a spasso perché sicuramente sarebbe scappato via e la morte troppo prematura di un pesce rosso avrebbe potuto compromettere la sua già chiusa personalità, per questo chiese che gli venisse regalato uno scarafaggio: piccolo e facile da pulire. Purtroppo però riuscì a scappare dalla teca in cui viveva e, nel cercarlo, Franz lo calpestò. Non potendo parlare e sfogarsi con nessuno, non poté mai sviluppare appieno le sue capacità discorsive finendo per dire una cosa per un’altra e i suoi ragionamenti e pensieri restavano indecifrabili e indicibili. Un incompreso in tutti i sensi, insomma.
Arthur invece non sono mai riuscita a conoscerlo, rifiutava i contatti umani come non ho mai visto fare e girava con una cera assurda. E dire che il padre e la madre l’hanno sempre fatto studiare e ha visto tante di quelle città che neanche il Giro del Mondo in 80 giorni ma si sa che i ragazzini viziati vogliono sempre di più.

Come vedi, caro destinatario, io mi lamento ma non è che i miei amici siano tanto più allegri. Non è forse vero che siamo le persone che frequentiamo?         

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