mercoledì 12 febbraio 2014

Lettera alla madre

Cara mamma,

recentemente mi è capitato di chiedermi perché affermo che avrei paura di te, di rendermi conto che è difficile per me riconoscere il momento in cui ti ho perduta pensando di non averti mai incontrata. È stato difficile persino aver paura, perché non essere all’altezza può essere il male che ti logora nel profondo e che arduamente si cava via. Sono state tante le volte in cui credevo che la rottura fosse lo step obbligatorio per passare dall’essere entità distinte e separate al riconoscersi figlia nel corpo di madre e madre nel corpo di figlia. Sono stati momenti in cui ti ho vista inerme dinanzi alla forza della natura che scorreva feroce e violenta dentro di me e che a me stessa sembrava turbolenta e inarrestabile ma che mi faceva sentire un gradino più sopra, forse più grande, forse più come te. La mia è stata un’adolescenza sbagliata, giacché nel tuo aver fiducia e nel tuo credere nella mia maturità sono invece stata la tua più grande delusione. C’è chi potrebbe vedere la cosa come la genetliaca reazione del corpo e della mente tutta dinnanzi ad aspettative spesso troppo grandi per mani da bambina: il capriccio adolescenziale. Il fatto, cara mamma, che il mio ostinarmi a farti capire che non fosse un capriccio è esploso nella mia stessa convinzione che stessi vivendo una vita più grande delle mie tasche ed è accaduto quel che avviene quando si ripete, perentoriamente, la stessa bugia: finisci per crederci davvero. Quel che mi chiedo è se tu, nel tuo immenso e preparato essere madre, una cosa del genere avresti immaginato potesse mai accadere. Forse si, ma non te l’aspettavi. Non parlo con voce di chi va fiero di essersi sentito per un po’ pecora nera ma con quella di chi non è riuscito a svolgere il ruolo assegnatogli senza saperne ancora il perché; per questo mi chiedo se la tua esperienza possa rispondere alla mia domanda. Non ne voglio parlare ma voglio sapere, è un qualcosa a cui penso quando mi chiudo nel buio della mia camera che mi ha accolta adolescente acerba e mi ha risvegliata donna matura. A mio parere tu lo sapevi ed eri pronta senza sapere quanto saresti stata forte a causa di tutte quelle notti piene di pensieri martellanti ed incessanti che non ti facevano dormire ed io che mi sentivo in colpa senza sapere come smettere perché di certe forze non ti liberi facilmente, o almeno cosi pensavo. Io avevo paura di te quando pensavo che forse non avresti mai potuto poter perdonare tutte quelle mie mancanze e che io stessa non avrei mai ricreato quell’immagine che non ho mai visto e che figurava nella tua testa. Chissà come mi immaginavi e come mi avevi trovata, se la ragazzina ribelle aveva comunque i boccoli biondi e le guanciotte paffute. Eppure non ho mai pensato ne voluto essere una ribelle in quel senso, ero semplicemente ciò che la testa o il cuore mi dicevano di essere, ma ai tuoi occhi forse non ero nient’altro che niente. Sentivo d‘aver perso il mondo che mi avevi donato e sono diventata adolescente donna nel momento in cui ho capito che il fine della mia esistenza era riappropriarmene. Difficile dire quando ciò è avvenuto ma non ti nascondo che, non conoscendo quanto lontano potesse arrivare l’amore di una madre o, meglio, di mia madre, i passi indietro sono stati per lo più tentoni pesanti che hanno lasciato dei solchi sulla strada. Ti ho ritrovata esempio, porto e sostegno. Ti ho ritrovata che avevi le braccia più grandi di quelle che avevo lasciato e che quasi avevo dimenticato quanto calore potessero emanare. Difficile dire quanto è stato duro per te accantonare quel segreto e riprendermi nelle mani ma è semplice, tanto semplice, riconoscere il momento in cui ti ho ritrovata più mia, più stretta, più simile a me.

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